SHEL SHAPIRO AL CIAK DI  MILANO
A BRESCIA SUONO’ CON I ROKES AL SOCIALE 40 ANNI FA E AL BEATLES DAY NEL 2001

Si è conclusa con un grande successo domenica a Milano, al mitico Teatro Ciak Fabbrica del Vapore, la prima serie di rappresentazioni dell’opera teatrale con musica, “…Sarà una bella società…”. I testi sono di Edmondo Berselli, editorialista di La Repubblica e L’Espresso e autore di libri, mentre la selezione musicale e l’interpretazione nel duplice ruolo di narratore e musicista è affidata ad un grande Shel Shapiro ex leader dei Rokes. La regia è di Ruggero Cara.
Lo spettacolo, fin dall’inizio è brillante e dinamico, Shel Shapiro domina il palcoscenico con la sua figura bella e imponente coinvolgendo il pubblico con la voce  inconfondibile ed il grande carisma ancora intatto più di 40 anni dopo che fu il chitarrista leader dei Rokes.  La scenografia sapientemente illuminata è molto sobria: c’è soltanto un palo telegrafico con i fili che sembrano evocare la comunicazione fra le generazioni di ieri e di oggi; c’è un tavolo, una sedia, tante chitarre e la mitica rossa “a freccia” della EKO che Shel usava anche coi Rokes. Li ricordo quando tennero il loro concerto bresciano al Sociale negli anni ’60. Ma l’emozione fu totale quando Shel venne nel mio studio per un servizio fotografico con quella stessa chitarra, e mi insegnò l’accordo d’inizio di “Un’anima pura”. Shel partecipò anche al Beatles Day del 2001 e fu un successo!  Ma torniamo al Ciak di Milano. Un po’ a lato c’è un ottimo gruppo di musicisti che lo accompagna in un avvincente viaggio musicale nei “suoi” mitici anni ’60. Eppure l’opera non ha le caratteristiche del Revival. E’ stata pensata per un vasto pubblico transgenerazionale e transculturale, anticipando così il 40° anniversario degli eventi che hanno segnato, con il 1968, la storia contemporanea.         
Lo spettacolo è fatto di ironia ed emozione; si ripercorrono gli anni Sessanta, anticipati da un tuffo nei ’50 con alcune gustose reinterpretazioni di brani storici come: The Great Pretender dei The Platters, Rock Around the  Clock di Bill Haley, Heartbreak Hotel di Elvis Presley, Be Bop A Lula di Gene Vincent, Johnny B. Goode Chuck Berry….
Poi, come per magia, sta finalmente nascendo il fenomeno beat. E qui Shel con un tempismo perfetto, raccontandosi e ricordando storie bellissime, alternando l’uso di varie chitarre propone la prima hit dei Beatles Please please me, per passare oltreoceano negli USA a rivisitare Mr Tambourine Man, Blowin’in the wind, A hard rain’s gonna fall  e  It’s all over now (baby blue) di Bob Dylan e I get around dei Beach Boys. Ma poi si torna in Inghilterra con (I can’t get no) Satisfaction, e Let’s spend the night together dei Rolling Stones e via ancora con tanti Beatles: Yesterday, Penny Lane, Eleanor Rigby, Michelle. E si giunge, così, all’arrivo in Italia di Shapiro, portato trionfalmente in albergo dalla Stazione Centrale di Milano a bordo di un Taxi Fiat 600 Multipla di colore nero e verde muffa, direttamente dalla ex grigia e nebbiosa Londra, trasformata, ormai, nella coloratissima Swinging London di Blow Up il celebre film di Antonioni, con i Beatles i Rolling Stones, i Cream, Jimi Hendrix e le trasformazioni che accolgono l’esplosione del ’68. Un percorso, quello raccontato da Shel, che delinea mutamenti sociali e di costume, politici e musicali, senza tralasciare momenti ludici e di puro divertimento; ascoltandolo cantare canzoni sue e di altri come: Finche C'e Musica Mi Tengo Su, Dio è morto  e Auschwitz di Francesco Guccini, La canzone del sole di Lucio Battisti Piangi con me e C’è una strana espressione nei tuoi  occhi dello stesso Shel Shapiro, Come potete giudicar dei Nomadi, Street of Philadelphia di Bruce Springsteen, We will rock you dei Queen, The wall dei Pink Floyd, Hotel California degli Eagles, One degli U2, Hey Joe di Jimi Hendrix, Losing my religion dei Rem, Wild World di Cat Stevens, Yesterday, when I was young di Charles Aznavour. Infine E’ la pioggia che va, una bella canzone scritta da Mogol a concludere la serata.  La carriera di Shel Shapiro inizia nel 1968, quando le canzoni dei Rokes erano il manifesto dello scontro generazionale fra giovani e adulti: i ragazzi le usavano come bandiera nella contrapposizione fra padri e figli, insegnanti e studenti, benpensanti e contestatori e il titolo dell’opera “Sarà una bella Società” è proprio un verso di un’altra canzone scritta da Mogol e resa celebre dai Rokes “Ma che colpa abbiamo noi”.

E alla fine... prima e dopo i bis, applausi scrocianti!